«Merito una buona morte» dice Martha a Ingrid, protagoniste dell’ultimo film di Pedro Almodóvar interpretate in modo superbo da Tilda Swinton e Julianne Moore. La pellicola, che ha vinto il Leone d’oro a Venezia, tratta il tema dell’eutanasia con grande delicatezza, indicando una terza via rispetto all’atteggiamento di rimozione di chi preferisce non prender posizione o ai toni da crociata di chi rivendica il proprio punto di vista personale pro-vita come se fosse un pensiero unico a cui tutti debbono assoggettarsi.
«Dire addio a questo mondo in modo pulito e con dignità è un diritto fondamentale. Non è politico ma umano. – afferma il regista in un’intervista, e parlando del suo ultimo lavoro aggiunge – Volevo che non ci fosse sentimentalismo né melodramma, che fosse contenuto. Profondo e austero nello stesso tempo.» Ed è in effetti questa la sensazione che il film lascia dopo la sua visione, dopo essere stati chiamati come spettatori a comprendere le motivazioni della persona malata che ha davanti a sé un destino segnato dalla sofferenza e le titubanze, le paure, di chi le sta accanto.
Il bello di questo film, che va dritto al cuore, è che sì, parla di morte, della nostra capacità di accettarla come componente inevitabile della vita, ma parla anche di amicizia, quella profonda, quella vera, quella che affiora nei momenti difficili.
«Accompagnare un malato terminale, saper stare al suo fianco, è una delle grandi qualità che possediamo» sottolinea Almodóvar, che ha scelto attrici di grandissimo livello per interpretare due donne non più giovani e diverse in tutto. Alta, algida, razionale e determinata l’una, piccola, femminile e tenera l’altra. Nella convivenza degli ultimi giorni di Martha le amiche rafforzano con naturalezza un legame che nella frenesia del quotidiano, come spesso accade, non era mai stato curato. Non angoscia ma consolazione, non solitudine ma presenza fisica, proprio lì, nella “stanza accanto”.
I vivaci colori di arredi e abiti, tipici del cineasta spagnolo, rimarcano l’idea di complementarietà dei caratteri (Martha verde, Ingrid rosso) e rendono gli interni quasi innaturali, una sorta di astratto contesto che rimanda ai rarefatti ambienti di Edward Hopper. Anche i dialoghi, intensi, sviluppati in un linguaggio più formale che reale, contribuiscono a creare una sensazione di distacco. È un invito alla riflessione, a non lasciarsi travolgere dalle emozioni negative, ad accettare razionalmente quel che siamo, esseri umani umani coscienti della propria caducità che possono godere della vita pur fra mille tragedie e catastrofi.
Nel film si parla di guerre sempre presenti e di cambiamento climatico ma Almodóvar, con tocco da maestro, evita di cadere nel pessimismo di chi si sente impotente e invita a dar spazio alla speranza, all’amore per vita, sentimenti che possono sopravvivere nonostante tutto, grazie ai piccoli gesti del quotidiano, alla bellezza della natura che ci circonda, all’amicizia e all’affetto di chi ci è più vicino.
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