Quattro chiacchiere con lo scrittore vercellese Renato Bianco

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di Massimo Iaretti

Ospiteremo nelle prossime settimane una serie di articoli che illustreranno la produzione letteraria dello scrittore vercellese (saluggese per la precisione) Renato Bianco. Con lui abbiamo scambiato quattro chiacchiere per conoscerlo più da vicino in attesa di conoscere ‘I gialli ….. in Bianco’.

Come è arrivato alla scrittura? Da quanto tempo?
Scrivere è quasi un gesto automatico, così come respirare o camminare. Nella mia vita non ho
fatto molte cose, ma sicuramente ho scritto e, soprattutto, letto. Ho scritto per mestiere e per
dovere professionale. Ora lo faccio per piacere, per me e per chi ha voglia di seguire i miei
percorsi.
Ho cominciato a occuparmi seriamente di cose con un capo e una coda dal 2016; infatti il
primo libro che ho pubblicato risale al 2017.
Che genere predilige nello scrivere?
Da questo punto di vista, mi ritengo un infedele. Non ho preferenze, o meglio, come succede
sovente nella vita, sono fatti occasionali e coincidenze che decidono per me.
Ciò che, invece, ritengo imprescindibile, è il coinvolgimento emotivo ed empatico, senza il
quale continuerei a scrivere cose che sarebbero inesorabilmente cancellate il giorno
successivo. Detto in altre parole, quando la storia a cui sto lavorando “funziona”, non riesco a
distaccarmene e mi sarebbe impossibile passare a un altro impegno di scrittura prima di aver
capito come si conclude la storia. Dico questa cosa, perché ogni mio lavoro non ha una sinossi
preliminare e la storia prende me, prima che non il lettore, in una forma di stream of
consciousness (flusso di coscienza).
Quanti gialli ha scritto. Sono legati da un comune denominatore oppure sono slegati?
Al momento, ho al mio attivo quattro romanzi gialli. Per la verità, il primo “Delitto in gipsoteca
a Casale Monferrato” potrebbe essere definito più propriamente “noir”, mentre i tre successivi
appartengono al genere poliziesco con un maresciallo dei carabinieri che svolge indagini su
omicidi sempre caratterizzati da collegamenti di carattere artistico, storico o sociale. Il fil rouge
che costituisce una costante nei vari volumi pubblicati, oltre al personaggio del maresciallo
Assenzio, è rappresentato dalla moglie Alessia e dal rapporto “dialettico” tra i due.
Qualcosa sui romanzi?
Ho scritto alcuni romanzi, ma solo due sono stati finora pubblicati: “Quel primo bacio” e “La
canzone di Diego”. La caratteristica che li accomuna tutti è una approfondita ricerca degli
aspetti psicologici, con descrizione dei personaggi per quel che sono, piuttosto che per qual
che appaiono. I protagonisti, ma anche gli altri interpreti, sono scandagliati con un’attenzione
ancora maggiore quando si tratta di ragazze o donne, operazione più complessa per un uomo.
Si occupa di saggistica?
Ho messo insieme alcune conferenze tenute da un amico notaio mancato in giovane età. Si è
trattato di un lavoro di raccolta, collazione e ricomposizione di una vasta quantità di materiale
ricondotto al testo di quattro conferenze all’interno delle quali è stato trasfuso quanto è stato
reperito.
In questo periodo sto lavorando, insieme a due amiche molto più esperte di me in questioni
artistiche, a una interessante ricerca su un pittore prussiano vissuto tra la fine del 1700 e la
prima metà del 1800. La sua vita, completamente sconosciuta in Italia, è un avvincente
romanzo: ha frequentato in Prussia la facoltà di giurisprudenza, partecipando alle lezioni di
filosofia di Kant, inoltre, era compagno di scuola e buon amico di Hoffmann. Visse appieno il
periodo del Grand Tour soggiornando a Parigi, Dresda, Losanna, Londra e Roma. Gli ultimi
vent’anni di vita li trascorse sul Lago Maggiore con frequenti viaggi in Svizzera e a Torino, dove
morì nel 1835.

Dove sono ambientati e perché?
Tutti i romanzi gialli si svolgono a Stresa, dove il maresciallo Assenzio è il comandante della
stazione dei carabinieri. Anche i romanzi, in particolare “Quel primo bacio” è ambientato sul
lago, al quale sono legato moltissimo e dove trascorro tutto il tempo che posso. Credo di
poterlo definire il mio buen retiro.
Quali sono i suoi modelli di autore?
Sono un lettore disordinato e poco selettivo e, come tutti, mi appassiono perdutamente per
poi cambiare alla prima occasione. In questo periodo sto affrontando le biografie: dopo
Cavour, Giambattista Vico, la Bela Rosin e in questi giorni, Golda Meir. Con lo stesso disordine,
seguo i gialli. Sto affrontando un’indagine nella Cina del 1200: “Final witness” di Wang Hongja.
Comunque il modello inarrivabile rimane George Simenon, sia per Maigret, sia per i romanzi.
Prossima fatica letteraria?
Credo di averlo già anticipato: è in uscita il terzo volume delle indagini del maresciallo
Assenzio. Si chiamerà “Le ragazze della Rampolina” e sarà in libreria in contemporanea con il
Salone del libro, dove lo presenterò.

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