La Malanotte di Renato Vallanzasca

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di Guido Michelone

È notizia di qualche giorno fa il trasferimento di Renato Vallanzasca dal carcere di Bollate in una casa di cura specializzata nei malati di alzheimer nel Veronese. Vallanzasca, il bel René o il cosiddetto bandito dagli occhi di ghiaccio o ancora il Dillinger della Comasina è forse il fuorilegge più noto nella storia della Repubblica Italiana. È in prigione dal 1974 a oggi, salvo qualche fuga rocambolesca quasi subito fallita: per sette omicidi (anche se lui è convinto di averne commessi ‘solo’ due) più rapine, furti, estorsioni, sequestri, violenze è tuttora condannato, in quanto mai pentitosi, a quattro ergastoli e 295 anni di galera. Circa due anni fa, consapevole della malattia incombente per via dei vuoti di memoria a giorni alterni, Vallanzasca decide di scrivere la propria autobiografia, affidandosi però, come redattrice, alla giovane giornalisti Micaela Palmieri (volto noto del TG1), la quale – registratore sempre acceso – gli chiede semplicemente di raccontarsi dall’infanzia più o meno normale fino alla scelta border line che porta un ragazzo bello, elegante, a sua modo colto e raffinato (benché cinico e strafottente) a diventare uno dei banditi più pericolosi dell’intero Stivale. Renato è l’ultimo dei ligera, tipici delinquenti di onesta famiglia di origini proletarie che imperversano nella Lombardia novecentesca, limitandosi però a furtarelli e scazzottate, nel peggiore dei casi con un coltello in tasca. Vallanzasca va oltre, diventando un pericoloso anarchico sanguinario con una propria morale (fatta anche di qualche sano principio) ma che non corrisponde quasi mai ai diritti e doveri di una società civile, egualitaria, democratica. Non è un mafioso né un terrorista, va oltre le categorie della politica, senza mai diventare né un ladro gentiluomo né un Robin Hood, ma soltanto uno sbruffone soverchiatore con le caratteristiche del serial killer, nonostante i dinieghi nella plausibile confessione, raccolta nell’agosto scorso dalla Palmieri nel libro “Malanotte. Rimpiango quasi tutto” (edizioni Baldini + Castoldi) a nome Renato Vallanzasca. Il volume non aggiunge molto a quanto già si sapeva dalla cronaca, anche se stavolta il punto di vista è dalla parte di un criminale anziano che lucidamente rievoca un passato, di cui si limita a dire che i suoi erano gesti di un folle: la narrazione non è lineare ma procede quasi a serpentina con un eloquio comunque sicuro, in modo che il testo si legge tutto d’un fiato come un romanzo giallo. Resta difficile trarre conclusione definitive: nonostante i molti gesti di affetto e umanità soprattutto verso l’intervistatrice e il dito puntato contro l’inefficienza delle carceri italiane, anche il Vallanzasca scrittore rimane un anti-eroe negativo, le cui imprese, alla pari di quel terrorismo nero e rosso degli anni Settanta, non hanno certo giovato all’immagine e alla crescita dell’Italia medesima. In altre parole egli risulta un ‘prigioniero’ molto più vicino a Totò Reina (spietato assassino) che a un Antonio Gramsci (intellettuale in manette per vent’anni solo perché nemico del Duce attraverso le idee e le parole).

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