Difesa Popolare Non Violenta, ne parla Enzo Ferrara del Centro studi Regis

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di Massimo Iaretti

Enzo Ferrara, ricercatore dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica (ex Galileo Ferraris), torinese, è il presidente del Centro Studi Sereno Regis. Questo è uno spazio culturale che opera dal 1982 nel settore della ricerca per la pace, dell’educazione alla pace e della documentazione delle lotte non violente. E’ uno dei principali centri italiani di promozione della cultura della nonviolenza e della trasformazione nonviolenta dei conflitti. Prende il nome di Domenico Sereno Regis, partigiano nonviolento che fu instancabile animatore dei primi comitati di quartiere nella Torino del dopoguerra.

Con lui, dopo una recente conferenza tenuta a Crescentino, abbiamo dialogato in materia di Difesa Popolare non Violenta, una pratica che in Italia è poco conosciuta, cosa che non avviene ad esempio nei Paesi del Nord Europa dove ci sono studi strutturati da anni.

Che cosa è la Difesa Popolare Non Violenta ?

Rappresenta una modalità di difesa della Patria come recita l’articolo 52 della Costituzione che evidenzia che è ‘sacro dovere del cittadino’ ma non spiega quale sia la modalità. E’ infatti possibile attuare metodologie individuali  e collettive nei confronti di un ipotetico nemico invasore.

Quindi qualcosa che va al di là dell’opzione militare ?

Certamente. E’ una metodologia molto poca nota nel nostra Paese.

Ci sono esempi storici di Difesa Popolare Non Violenta ?

Anna Bravo ne ‘La conta dei salvati’ si sofferma in particolare al periodo dopo l’8 settembre del 1943. Ci furono azioni non violente, soprattutto che videro protagoniste le donne scese in campo con il loro enorme senso pratico, e poi c’è lo sciopero della primavera del 1943 con il Pci clandestino che contava solo 200 operai ma che vide un numero infinitamente più grande coinvolto – quasi 100mila – alla Fiat, alla Falk, alla Pirelli. E poi ci sono le azioni finalizzate proteggere e difendere gli ebrei.

Questo in Italiam e all’estero ?

Ci sono stati diversi casi di non collaborazione contro il nemico ed invasore, nel Baltico, in Danimarca, anche nella Polonia occupata dai nazisti e dai sovietici. Con piccole azioni di sabotaggio, lo si è dimostraro, si possono salvare delle vite. Ad esempio se tutti i treni avessero trovato un ferroviere che avesse lasciato un lucchetto rotto in molti si darebbero salvati. In questi contesti ci sono sicuramente delle figure limpide che possono mettere in atto azioni di disobbedienza. Nel merito però…

Cosa intende ?

Ci sono state anche persone che sfruttavano il lavoro di ebrei ma che poi, salvando delle vite con il loro operato, si sono comportati meglio di benpensanti che hanno continuato a fare il loro dovere come quel preside di facoltà che aggiungeva la dicitura ”di razza ebraica”.

Ritiene sia utile parlare di Difesa Popolare Non Violenta nelle scuole ?

Raccontare queste storie, con la forza che gli episodi hanno, e stimolare la libera capacità di scelta e di pensiero, sarebbe opportuno .

Difesa Popolare Non Violenta e pacifismo hanno lo stesso significato ?

Non sono la stessa cosa. Ci sono alcune visioni del pacifismo non attive, alcune, oltranziste, che accettano anche la morte senza ribellarsi.

La guerra, però, ha avuto un’evoluzione …

Si, ad esempio dal conflitto nell’ex Jugoslavia in poi si è evidenziata una natura non più convenzionale della guerra, il che rende più di difficile impostazione di Difesa Popolare Non Violenta.

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