di Patrizia Monzeglio
Spiace dire che uno dei due soli film italiani in concorso al Torino Film Festival, “Europa Centrale”
non è un film per tutti e che dalla sua visione ne esce turbato anche chi l’ha scelto fra i tanti in
programma, animato dalle migliori intenzioni. Il regista, Gianluca Minucci, ha definito la pellicola
«profondamente psicotica, mentale e paranoide». Perché andarla vedere allora, uno si potrebbe
chiedere. Perché sulla carta il tema è molto interessante ed è la curiosità a spingerci a scoprire il
lavoro di un regista che deve trasformare i concetti in immagini, creare sensazioni ed emozioni
capaci di veicolare un messaggio.
«Dentro a un treno racconto scelte della vita dettate dai totalitarismi» sostiene Gianluca Minucci
che ha ambientato la storia nel 1940 descrivendo il viaggio di una coppia di comunisti, due spie,
incaricati di portare a termine una missione, nascondendosi dai fascisti. Nel periodo fra le due
guerre l’Europa centrale, oggi segnata dal ritorno di certe ideologie estreme, è stata teatro di
drammi umani personali e collettivi che si pensava e si sperava di non rivedere più e per questo il
regista ha voluto con il suo film denunciare «la pericolosità di aderire a certe ideologie e di perdere
qualsiasi occhio critico nei confronti di certe fedi politiche».
Ora, passare dall’intento ai fatti è una grande scommessa, quella di Minucci non pare
perfettamente riuscita. Il suo tentativo di creare nello spettatore un senso di repulsione verso certi
comportamenti brutali, verso il clima di terrore che la violenza può alimentare, finisce col creare un
senso di repulsione verso il film stesso, caratterizzato da toni cupi e atmosfere volutamente
claustrofobiche.
Girato nel Museo dei Treni di Budapest, tutto all’interno di carrozze originali degli anni ’20 e ’30, il
film “Europa Centrale” si avvale della presenza di attori di livello come Tommaso Ragno e Paolo
Pierobon e ha un impianto decisamente teatrale, con una colonna sonora fatta di musiche e suoni
concepiti come una sorta di coro che accompagna i dialoghi e i silenzi dei personaggi.
«Volevamo fare un film profondamente diverso, nella forma e nel linguaggio, per la regia
espressionista ma anche per la recitazione. – spiega Minucci – L’intento era voler fare una seduta
psicoanalitica personale del Novecento».
Che dire? Forse un’ambizione eccessiva per un film, sicuramente un’occasione persa per far
apprezzare anche al pubblico meno sofisticato la rappresentazione dell’inquietudine che attraversa
l’Europa dei nostri giorni facendo del passato un monito da cui trarre insegnamento. Ma forse il
pubblico più vasto non è esattamente l’obiettivo primario di chi vuol sperimentare nuovi linguaggi
ed “Europa Centrale” è sicuramente un ricercato esperimento.
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