di Patrizia Monzeglio
Per recitare bene non basta la tecnica, ci vuole talento, capacità nell’essere credibili, nel saper
trasmettere emozioni. Per realizzare un film serve molto di più, la regia è un mestiere complicato.
Girando “C’è ancora domani” Paola Cortellesi ha dimostrato di saper fare il salto da un mestiere
all’altro, sorprendendo tutti nel portare sullo schermo un film che ha qualcosa da dire e lo sa dire al
pubblico più vasto, con un linguaggio cinematografico semplice ma non banale.
Se una pellicola funziona lo capisci subito: si innesca un passaparola spontaneo, la gente ha
voglia di commentarla, va al cinema senza aspettarne l’uscita su piattaforma, te la consiglia perché
vuol condividere con te l’esperienza. Succede di rado, ma per fortuna succede ancora. L’opera
prima di Paola Cortellesi piace e sbanca al botteghino.
La prima parte del film scorre mostrando immagini e situazioni che si possono facilmente
prevedere guardando il trailer, la storia di una madre nella società patriarcale del secondo
dopoguerra quando alle donne non era consentito parlare, studiare, scegliere, vivere una vita tutta
loro. Il neorealismo evocato dal bianco e nero e dai volti popolani più che uno stile di regia è un
omaggio alla memoria di un’epoca. Il dramma è alleggerito da tocchi di ironia, la violenza
casalinga, visibile ma non enfatizzata, è teatralizzata per renderla più accettabile agli occhi del
pubblico, una scelta che provoca nello spettatore un effetto straniante spezzando il tono realistico
del racconto.
Lo spettatore vive con disagio la storia di una moglie che subisce e tace, che soffre e non si ribella.
Quando già si sta chiedendo se ci sarà un finale consolatorio oppure tragico, sulla scorta di tanti
film di genere, ecco la sorpresa. Paola Cortellesi, che ha anche firmato la sceneggiatura, inserisce
nel film una svolta non scontata che dà un senso a tutto il racconto. Nel farlo crea un legame fra il
passato delle nostre nonne e il nostro tempo, un legame sottolineato dal cambio di colonna sonora
che abbandona le canzoni d’epoca per musiche a noi più vicine.
In un’intervista al quotidiano “Il secolo XIX” la regista sostiene che senza sua figlia, a cui il film è
dedicato, «ci sarebbe stato il racconto di una donna, ma senza quel finale, che forse è la cosa più
potente del film. Non so se lo avrei trovato senza Laura e senza quella voglia di raccontare a lei e
alle giovani generazioni che quello che siamo oggi e di cui godiamo non è scontato».
Il film ha ricevuto tre premi alla Festa del Cinema di Roma. Sarebbe bello che fosse visto da quelli
che oggi, potendo studiare, scegliere il loro futuro, esprimere un voto, preferiscono non farlo per
negligenza o sfiducia, come se tutte queste cose non avessero un valore, come se non fossero il
risultato di sofferenze e sacrifici, conquiste che il film oggi ci ricorda perché troppo spesso
tendiamo a dimenticarle.
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