E alla fine ci si arrende, una recensione va fatta, anche se con una certa titubanza visto che non è facile dire la tua su “Fuori”, ultima opera di Mario Martone, selezionata a Cannes, osannata dalla critica e che tu, uscendo dal cinema, hai definito “niente di che”.
Va detto che quando i film ti fanno conoscere un personaggio di cui hai solo qualche vaga idea un merito ce l’hanno comunque, ti spingono a saperne di più. Goliarda Sapienza è un personaggio solo recentemente rivalutato ( https://italiasara.it/2025/06/07/14489/ )così come il suo libro L’arte della gioia, diventato una serie tv di successo con la regia di Valeria Golino.
Nel film di Martone la Golino, che interpreta la scrittrice, rappresenta un punto di forza, con quello sguardo che si perde dietro ai suoi pensieri, con i gesti incerti di chi non si trova mai a perfetto agio. La solitudine del personaggio arriva allo spettatore attraverso il suo perenne peregrinare per le strade di Roma, le sigarette accese una dietro l’altra, la stupita accettazione di una solidarietà tutta femminile nata dall’esperienza del carcere di Rebibbia. È da questo senso di spaesamento, di estraneità al mondo, che noi spettatori possiamo capire quel “fuori” che da titolo al film, essere fuori da una prigione ma sentirsi fuori anche rispetto alla normalità della vita, alle convenzioni sociali, alle dinamiche dei salotti romani, fuori dall’epoca in cui si vive, dal ricoscimento del lavoro di scrittrice.
Liberamente ispirato alle opere L’Università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, il film porta in primo piano certe scomode realtà come il senso di vuoto di una generazione che si è persa dopo aver inseguito gli ideali giovanili del ‘68, la Roma di periferia, la difficile esistenza di persone ai margini della società che meritano comunque comprensione e riconoscimento.
Tutto questo ci è restituito dalla regia di Martone, insieme a quella sorta di alchimia creatasi fra Valeria Golino e Matilda De Angelis che aggiunge un tocco di realismo al rapporto di amicizia nato fra i personaggi di Goliarda e Roberta sullo schermo.
Per il resto? Non molto altro da aggiungere. Ed è qui, in un film che procede con una certa monotonia, che si fatica a seguire in certe svolte drammaturgiche, che viene a mancare il salto di qualità.
Nel giudicarlo “niente di che” riconosciamo però a Martone, oltre al sapiente gioco di luci, spazi e inquadrature, il merito di aver inserito nei titoli di coda lo spezzone di un programma del 1983 in cui la vera Goliarda Sapienza con fatica risponde alle domande che Enzo Biagi le pone con un tono fra l’impietoso e il derisorio.
Chi? Lui? Quell’Enzo Biagi così equilibrato che tanto abbiamo ammirato? Sì, proprio lui. Ed è proprio in questo “fuori-film” che forse troviamo quel guizzo in più che ci aspettavamo, forse è la ruvidezza del reale, dell’atteggiamento di Biagi, a dare un senso allo sforzo creativo che lo precede, a un film che per il resto non ci ha convinto del tutto.
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