È un peccato che certi film escano in estate, quando la gente pensa a tutto meno che ad andare al cinema. A vedere “Il maestro e Margherita” in un qualsiasi lunedì di luglio eravamo giusto sei o sette persone, non di più. Peccato però, il film del regista russo Michail Lokšin merita di esser visto, e non solo dai lettori che amano Bulgakov e considerano il suo libro un capolavoro assoluto della letteratura del ‘900 ma anche da quelli come me che verso il romanzo mantengono un atteggiamento piuttosto tiepido. Perché? Perché attraverso le immagini il film sa dare risalto a ciò che più ha decretato la fama del libro: i suoi messaggi di fondo, le ambientazioni, le atmosfere. Una sfida per nulla facile eppure vinta.
Cominciamo dalla storia, anzi dalle storie che si intrecciano per creare un’unica vicenda che vede protagonisti il Maestro, uno scrittore che rifiuta di aderire alla propaganda di regime, Woland il diavolo che svela le ipocrisie della società sovietica nata dalla recente rivoluzione, Margherita la donna innamorata del Maestro, Ponzio Pilato il personaggio del romanzo che il Maestro inizia a scrivere dopo esser stato espulso dall’associazione degli scrittori.
La sceneggiatura riesce a portare avanti lo sviluppo delle diverse storie con coerenza consentendo allo spettatore di seguire il complicato evolversi degli eventi senza mai perdere il filo della narrazione. Con grande realismo viene rappresentata la Mosca anni ‘30 in piena ricostruzione, con le sue strade immerse nel fango, gli eleganti edifici ridotti a fatiscenti e improvvisate dimore, l’eterna carenza di alloggi che obbliga le persone a convivenze forzate. Immagini che rimandano a certe scene del “Dottor Zivago” e insieme fanno emergere la contraddizione palese fra le parole e i fatti, fra la realtà millantata dagli slogan di partito e quella vissuta nel quotidiano. A questo sfondo di realismo, che si completa con le scene dell’ospedale psichiatrico dove vengono rinchiusi gli intellettuali non graditi al regime, fa da contraltare tutto il grottesco, il surreale, l’immaginifico che caratterizza il romanzo di Bulgakov e che nel film viene ricostruito con maestria, dalle scene dello spettacolo a teatro e quelle del ballo finale. Denuncia e allegoria vengono riproposte per farci riflettere su quanto attuale continui ad essere lo scontro fra bene e male, fra potere e arte, valori morali e ipocrisia, ideologia e libertà di pensiero.
Bulgakov bruciò il suo manoscritto per timore della censura per poi riscriverlo da capo. Del suo romanzo la frase più emblematica e più citata rimane “i manoscritti non bruciano” perché non c’è divieto che possa fermare il pensiero e questo film ne è l’ennesima conferma. Nonostante le censure certe idee non si perdono, si diffondono, aleggiano nell’aria per riprendere poi forma da qualche parte e le ritrovi leggendo un nuovo libro oppure, come accade per “Il maestro e Margherita” di Michail Lokšin, andando a vedere al cinema il film oggi boicottato dalla Russia di Putin.
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