Ha vinto il “Premio Speciale della Giuria” a Cannes ed è candidato agli Oscar nella categoria “Film Internazionali”, è visibile in Italia in circa 70 sale, le altre monopolizzate da film di maggior richiamo (Follemente ne occupa più di 480).
D’accordo abbiamo bisogno di leggerezza, immersi come siamo nei nostri problemi, ma il “Seme del fico sacro” è un’opera che merita di esser vista, apre una finestra sul mondo e le finestre sono importanti, fanno entrare luce e aria.
È ambientato in Iran, ma potrebbe essere girato in qualsiasi paese dove non esiste libertà, che sia la religione o un’altra ideologia a permeare il sistema è relativamente importante perché tutti i regimi si sviluppano come la pianta del fico sacro. Il suo seme disperso con gli escrementi degli uccelli si radica nel terreno e quando la pianta cresce i rami soffocano gli alberi intorno. Viene definita anche “il fico degli dei”, esiste metafora più azzeccata per un regime dove si afferma che la legge degli uomini è “legge di Dio”?
Il regista Mohammad Rasoulof ci mostra gli effetti di un regime oppressivo sui singoli individui e lo fa partendo da una famiglia come tante, anzi più benestante delle altre perché il protagonista è un giudice del Tribunale della Guardia Rivoluzionaria. L’uomo è combattuto, deve barattare ogni giorno il benessere con la propria coscienza, tacitandola per ubbidire a ordini che lo obbligano a firmare pene di morte di persone senza colpe. La moglie lo asseconda e gestisce al meglio le figlie ribelli e il rispetto delle regole di un sistema che non perdona errori, il suo atteggiamento è una forma di protezione e al tempo stesso un adattamento comodo e passivo alle regole sociali.
Il film, che nella prima parte segue il filone dei film di denuncia, si trasforma in thriller nel momento in cui sparisce la pistola del giudice. L’azione prende il sopravvento e la storia dei protagonisti diventa metafora.
Nel capofamiglia cresce il seme del sospetto, il timore di esser tradito da chi gli è più vicino, la paura di essere condannato dai suoi superiori. Affronta la situazione con la medesima spietatezza dell’apparato di cui è diventato parte, i rami della vendetta soffocano quel poco di umano che sembrava aver conservato fino ad allora. La ribellione del mondo esterno è entrata in casa sua e questo non lo può tollerare.
Sono le tre donne ad essere portatrici del cambiamento, la moglie fino ad allora sottomessa e fedele, e le due giovani figlie. «Le giovani donne del mio paese del movimento ‘Donne Vita Libertà’ – ha dichiarato Mohammad Rasoulof – mi hanno ispirato con il loro grande coraggio di lottare».
“Il seme del fico sacro” è un film che ti avvolge, ti prende in un crescendo di pathos, un’opera che merita di esser vista per le sue qualità artistiche e per il fatto che ci obbliga ad alzare lo sguardo oltre la finestra di casa, per prender atto di ciò che c’è fuori, che già conosciamo ma che grazie alla potenza del cinema possiamo meglio comprendere. E comprendendolo forse capiamo il bisogno di raccontarlo, di denunciarlo, anche a costo della libertà e della vita. Il regista e alcuni attori, che hanno clandestinamente girato il film, sono stati costretti a fuggire dall’Iran e ora vivono in esilio.
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