Qual era il tratto distintivo che accomunava i criminali nazisti e li distingueva dal resto del mondo, era la domanda che si era posto lo psichiatra Douglas M. Kelly chiamato a controllare il benessere mentale dei massimi esponenti del Terzo Reich in attesa del processo di Norimberga. Sulla base di questa esperienza Kelly scrisse nel 1947 un libro intitolato “22 cells in Nuremberg”.
La sua esperienza venne poi ricostruita nel saggio “Norimberga. Lo nazista e lo psichiatra” (2013) del giornalista e scrittore Jack El-Hai e oggi sullo schermo la storia ci viene riproposta dal regista statunitense James Vanderbilt.
Nel film “Norimberga” Vanderbilt affida i ruoli più importanti a Russell Crowe (Göring) e Rami Malek (Kelly), affiancati da Michael Shennon e Richard E. Grant nelle vesti rispettivamente del procuratore americano e di quello britannico. Un cast che dà prova artistica di alto livello reggendo un triangolare gioco delle parti: il rapporto fra Göring e lo psichiatra, fra quest’ultimo e il procuratore americano e, nella parte finale del film, fra i due procuratori e Göring interrogato alla sbarra.
La posta in palio è la condanna tramite regolare processo dei più alti gerarchi nazisti, una posta alta che ha come contropartita, in caso di fallimento, l’assoluzione di chi ha messo a ferro e fuoco l’Europa intera e commesso crimini contro l’umanità.
Interessante è l’iniziale fascinazione che il giovane psichiatra Kelly prova di fronte alla carismatica e manipolatoria personalità di Hermann Göring, che l’interpretazione di Russel Crowe ci restituisce in mille diverse sfumature. Il punto di svolta nel loro rapporto lo segneranno i filmati sugli orrori dei campi di sterminio proiettati in aula durante il processo. Kelly prende atto del fatto che quelli che ha di fronte non sono semplici esecutori di ordini, ma “persone ambiziose, aggressive, intelligenti, spietate”, come li definì poi nel suo libro, uomini senza scrupoli morali che quegli ordini li avevano emanati.
Il film vuole essere un mix di ricostruzione storica e intrattenimento, anche se quest’ultimo perde di efficacia nelle scene fuori dalla prigione o dall’aula. Al di là delle concessioni alle esigenze narrative, “Norimberga” ha comunque il pregio di intrattenere facendoci scoprire una pagina di storia e riflettere su alcuni messaggi.
«Sono certo che anche in America – dice lo psichiatra a processo concluso – ci siano persone disposte a passare sopra i cadaveri di metà della popolazione americana pur di ottenere il controllo dell’altra metà». Un passaggio che ci porta a pensare che in realtà non è solo una questione di America, così come non era solo una questione di Germania allora. È una questione di sempre, e ovunque, che ha a che fare con gli uomini, con le inclinazioni “ambiziose, aggressive, intelligenti e spietate” che ritroviamo in alcuni di loro.
Per questo anche la citazione del filosofo R.G. Collingwood che chiude la proiezione merita di essere ricordata: “L’unico indizio su ciò che l’uomo può fare è ciò che l’uomo ha fatto”.
VISTI O RIVISTI PER VOI. “NORIMBERGA ”, l’indizio di ciò che un uomo può fare.
Devi essere connesso per inviare un commento.

+ There are no comments
Add yours