di Patrizia Monzeglio
In molti dicono «bisogna vederlo», altri commentano «è un film che fa discutere», qualcuno
lo definisce un capolavoro. Calma, non esageriamo. Sì, è vero, “Povere Creature!” ha vinto il
Leone d’oro a Venezia e vanta 11 nomination agli Oscar, ma altrettante ne aveva ottenute
anche “Everything, Everywhere, All at Once” e ancora ci chiediamo come ha fatto a vincere
sette statuette, compresa quella per il miglior film.
D’accordo, ci sono aspetti positivi del film di Yorgos Lanthimos che lo pongono al di sopra del
livello di banalità in cui sguazzano molte altre pellicole ma alcune soluzioni non proprio
riuscite segnano i limiti di quest’opera.
La fantasia con cui viene ricostruito il mondo surreale in cui si svolge la storia è un punto di
forza. Ambienti, atmosfere, inquadrature creano un universo distopico che sa trasmettere
con efficacia il senso di claustrofobia di una creatura privata della sua libertà. Originali sono i
costumi, mentre i colori dai toni grigi iniziali passano a tinte sempre più vivaci per
accompagnare l’affermazione del personaggio di Bella Bexter. L’esaltazione di elementi che
rendono palese l’artificialità del contesto permette di seguire con ironico distacco una storia a
tinte forti che non risparmia scene piuttosto truculente. La trama porta con sé un suo
messaggio chiaro: il desiderio degli uomini di controllare il genere femminile privandolo della
libertà d’azione attraverso regole e convenzioni che condizionano le relazioni sociali. La
protagonista Bella, donna adulta alla quale è stato impiantato un cervello di neonato, riesce a
far saltare queste convenzioni grazie all’innocenza con cui affronta il mondo esterno e
all’anarchica determinazione con cui vuole migliorare se stessa sperimentando ogni nuova
cosa. Fin qui tutto bene.
La scelta però di far passare il riscatto sociale attraverso la via prioritaria, se non esclusiva,
della ricerca del piacere e dell’esperienza sessuale ci pare una semplificazione che
sminuisce la portata del film. Il regista ha voluto indugiare sulla soluzione scontata
dell’erotismo invece di alludervi soltanto e rendere meno meno piatto e didascalico il
racconto. Spunti interessanti avrebbero potuto arricchire la trama: l’incontro con il giovane
sulla nave, la scoperta della crudeltà e della pietà da parte della protagonista, il suo interesse
per la lettura, la solidarietà con l’amica. Temi appena accennati e non risolti, come se
l’estetica e il tono dissacrante della favola nera fossero sufficienti a compensare la debolezza
della narrazione. Probabilmente lo sono stati per vincere il Leone d’oro e magari lo saranno
anche per l’Oscar, ma non abbastanza per definire “Povere creature!” un capolavoro.
Rimane un film che fa scalpore e se non lascia indifferenti il merito va anche a Emma Stone
che ha saputo rendere credibile un personaggio complesso come Bella, evitando il rischio di
farne una caricatura e regalando al cinema una nuova maschera che potrebbe entrare
nell’immaginario collettivo come a suo tempo avvenne per il più noto Frankenstein.
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