di Patrizia Monzeglio
Una locandina che sembra un dipinto è un ottimo biglietto da visita per promuovere un film
d’autore come “Rapito”, ultima opera di Marco Bellocchio, candidato al Festival di Cannes 2023.
Tratto da una storia vera, la vicenda del rapimento del piccolo ebreo Edgardo Mortara da parte di
Papa Pio IX viene sviluppata da Bellocchio prestando grande attenzione all’estetica, con scorci di
paesaggio che paiono quadri dipinti, un sapiente gioco di luci, una meticolosa attenzione alla
ricostruzione realistica degli ambienti, degli abiti, delle acconciature. Ma questa ricerca maniacale
della perfezione non risulta mai fine a se stessa, è funzionale a ricreare la drammaticità del
contesto in cui si svolge la storia, drammaticità esaltata da una musica potente che interviene nei
momenti più tragici per enfatizzare il senso di oppressione e impotenza davanti a ciò che sta
accadendo.
Di questa estetica, funzionale al racconto, la locandina è un’anticipazione: l’abbraccio di un prelato
senza volto che non trasmette tenerezza ma possesso, una morsa che non lascia scampo a un
fanciullo dallo sguardo smarrito, il corpo irrigidito e le mani contratte. Le pieghe degli abiti, i colori
contrastati, la luce, sono elementi della fotografia che ricordano certe pitture del tardo cinquecento-
seicento, epoca in cui la Chiesa della Controriforma aveva stretto in un abbraccio rigido e
impietoso la società lacerata da contrasti di religione. Il film di Bellocchio, ambientato nello Stato
Pontificio di meta ‘800, ci mostra una Chiesa non molto diversa da quella sorta dopo il Concilio di
Trento del 1545, caratterizzata dall’osservanza dei dogmi, dal ricorso all’Inquisizione, con
l’ossessione per l’espiazione dei peccati, il terrore per l’Inferno, l’obbligo di salvare con ogni mezzo
le anime attraverso conversioni e battesimi. Una Chiesa con un potere temporale che consentiva
di applicare le sue leggi anche alla società civile, all’interno di uno Stato dove regnava il Papa Re.
L’immagine del muro che separa questo mondo da quello laico e moderno dello Stato Italiano nato
nel 1861 è un’immagine emblematica: un muro di mattoni che viene disintegrato con violenza e
fragore a Porta Pia qualche anno dopo. In questo contesto si sviluppa il dramma della famiglia
Mortara e Bellocchio ci mostra con maestria il dolore insanabile dei genitori che combattono per
riavere il figlio, la sofferenza del piccolo Edgardo, il suo spaesamento e l’adattamento progressivo
all’educazione che gli viene impartita.
Sappiamo che non era nell’intenzione di Bellocchio andare al di là della vicenda narrata, lo ha
dichiarato in un’intervista ma noi come spettatori, venuti a conoscenza di questa triste pagina di
storia italiana grazie al suo film, non possiamo non pensare alle migliaia di bambini ucraini
deportati in Russia e al loro destino. Il ripetersi del “Non possumus” nella politica del XXI secolo.
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