Burolo, interessante mostra sull’Artigianato di trincera della Grande Guerra: un mondo tutto da scoprire

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Il salone comunale di Burolo ospiterà da venerdì 4 a domenica 6 novembre una mostra che affronta un argomento particolare, e in Italia poco conosciuto della Grande Guerra. Protagonista di ‘Soldati artigiani: la memoria della Grande Guerra nell’Artigianato di Trincea’ sarà l’esposizione di oggetti della collezione privata di Alida Caligaris e Stefano Viaggio.

‘Mio marito ed io – dice Alisa Caligaris- abbiamo sviluppato una passione per un aspetto della Prima Guerra Mondiale, quello degli oggetti fabbricati dai soldati nelle trincee, soprattutto sul Fronte Occidentale, che opponeva Francesi a Tedeschi. In questo settore c’è una maggiore sensibilità all’estero che non in Italia, dove tali oggetti sono più rari”.

La mostra verrà inaugurata venerdì 4 novembre, alle ore 21, con la proiezione di un video e sarà visitabile dalle 9.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 18.

Di seguito una interessane relazione di Alida Caligaris sull’argomento di cui si consiglia vivamente la lettura perché introduce su un universo che ai più e sconosciuto

Per Artigianato di Trincea (Artisanat de Tranchée / Trench Art Grabenkunst -Soldatenkunst a seconda delle lingue) si intende l’insieme degli oggetti, in metallo o altri materiali, fabbricati dai soldati nelle trincee di tutti i fronti della Grande Guerra, nelle retrovie, negli ospedali o nei campi di prigionia : in realtà, per gli specialisti del settore tale definizione si estende anche ai prodotti “industriali” realizzati come souvenir nel dopoguerra e destinati a coloro che si recavano in pellegrinaggio ai cimiteri e ai campi di battaglia, e ai manufatti realizzati dai soldati nei conflitti successivi del XX secolo.

Gli oggetti esposti in questa mostra provengono per la maggior parte dal Fronte Occidentale franco- tedesco, con alcune eccezioni, rappresentate da manufatti fabbricati su quello italo – austriaco, che sisviluppò nel Nord – Est del nostro Paese.

La Prima Guerra Mondiale è stata una “guerra di materiali ” e di artiglieria: proprio i metalli, in genere ottone, rame e alluminio ricavati dai bossoli dei proiettili di tutti i calibri, sono stati riutilizzati e “promossi” a materia d’arte da parte dei soldati, che erano in tutti gli eserciti in maggioranza contadini, operai e artigiani: capaci dunque di trasformare la corona di forzamento di un obice in oggetti di uso quotidiano o anche in semplici gioielli (braccialetti, anelli e pendenti), utili a mantenere il legame con la famiglia e ricordare ai destinatari la precarietà e la tragicità della condizione di chi li aveva fabbricati…. anzi, questi oggetti sono rimasti spesso, con qualche lettera, unico ricordo dei moltissimi combattenti privi di una sepoltura identificata.

Testimonianze di questa diffusa attività dei soldati si trovano in molti scrittori: Silvio D’Amico (“La vigilia di Caporetto”), Guillaume Apollinaire (“Calligrammi”), Henri Barbusse (“Il fuoco”), BlaiseCendrars (“La mano mozza”), Ernst Junger (“Nelle tempeste d’acciaio”), solo per citarne alcuni.

Moltissimi di questi oggetti all’inizio del conflitto furono realizzati per supplire alle carenze di un equipaggiamento insufficiente o alle difficoltà di un ambiente ostile: esempio classico, gli accendini, fabbricati dai soldati con i materiali più diversi (monete, medaglie commemorative, bulloni, casse di orologio da taschino ecc.) perchè i fiammiferi si inumidivano rapidamente in trincea e diventavano inutilizzabili.

Altri accendini sono in forma di libro, con iniziali o toponimi.

Tabacco e fumo hanno generato altre tipologie di oggetti: vasi portatabacco o tabacchiere, posacenere, portapipe .Rimanda invece alla scrittura, ai legami con le famiglie e con tutto il mondo di “prima della guerra” la vastissima produzione dei tagliacarte, realizzati generalmente lavorando le corone di forzamento in rame degli obici, con i bossoli dei fucili o le schegge di granata: i soldati cercavano anche di recuperare tali corone da proiettili inesplosi con conseguenze talvolta fatali…

Sulla lama dei tagliacarte compaiono iniziali, toponimi, nomi di donna, date o motivi floreali: sono gli stessi elementi che decorano le penne (alcune delle quali conservano ancora il mozzicone di matita o il pennino originale).

Questi oggetti sono da taluni interpretati come una sorta di ex-voto, che ricorderebbe forse, con la menzione di un luogo preciso, uno scampato pericolo.

Se la lama del tagliacarte è a forma di scimitarra o vi compaiono la Mezzaluna e la Stella, il soldato – artigiano è probabilmente mussulmano. I tagliacarte servivano per aprire le lettere, elemento fondamentale per il combattente in trincea, e ogni soldato esercitava la propria fantasia nel fabbricarne.

La scrittura e le lettere erano del resto il principale canale attraverso cui si mantenevano i legami con le famiglie lontane, le fidanzate o gli amici o si alleviava la solitudine in trincea (importanti le relazioni epistolari con le “Madrine di guerra”, incoraggiate dagli Stati maggiori e talvolta conclusesi con un matrimonio) : alla moglie rimasta a casa e impegnata nel lavoro dei campi si davano indicazioni sulla gestione del podere, sui debiti o crediti da pagare o riscuotere, sul prezzo della vendita dei cereali ecc.

Il soldato, che non poteva rivelare la sua posizione, cercava altresì di rassicurare la famiglia sullapropria buona salute … anche per non incorrere nella onnipresente censura…!

Rimandano alla scrittura fermacarte e calamai, anche di elaborata struttura. I portaritratti e le scatole sono spesso fabbricati nei campi di prigionia e le ossa di animaliprovenienti dalle cucine si trasformano in oggetti finemente scolpiti: utile moneta di scambio per acquistare cibo, vino o tabacco.

I giornali dell’epoca menzionano esposizioni di tali manufatti: il settimanale “Pays de France” organizza nel 1915 a Parigi una mostra e avvia un sistema di ordinazione-fabbricazione-vendita, destinando il ricavato ai soldati-artigiani; nei numeri di aprile-maggio 1918, il giornale di trincea “L’Astico” indice un concorso a premi “Esposizione di lavori di trincea” e vi riserva uno spazio permanente presso la redazione.

Se il recupero dei materiali che giornalmente procuravano la morte (benchè formalmente proibito da tutti gli Stati maggiori) era un fatto normale, lo diventò anche la riproduzione in scala delle armi di distruzione di massa: cannoni (il “75” francese compare spesso su bossoli e accendini) aerei, carri armati e sommergibili.

Diffusissima è la produzione di bossoli decorati con motivi floreali (ispirati all’Art Nouveau, gli oggetti più comuni che molti di noi ricordano nelle case dei nonni) e animali, riconducibili ad una precisa simbologia e alle credenze popolari dell’epoca.

Tutt’altro che trascurabile è la produzione dei bastoni da passeggio: ogni ufficiale, anche quelli dielevato livello, ne aveva uno e il motivo più comune è il serpente chi si avvolge tutto intorno.

La produzione degli orologi da tavolo è da ricondursi alle retrovie e all’industria. Più rari e fragili sono gli strumenti musicali, realizzati con vari materiali, conservati nei Musei europei e nelle collezioni private.

L’abilità e la fantasia dei soldati ha dunque prodotto un’infinita varietà di oggetti, talvolta difficilmente ascrivibili ad una categoria precisa: scaldini, candelabri, posate, tazze, bicchieri, lampade, vuotatasche, portafortuna, sigilli, tessuti ricamati e oggetti riconducibili alla devozione, come Crocifissi o piccole Croci.

Lo studio di questa particolare forma di arte popolare è stato avviato tardivamente in Italia: altri paesi ci hanno preceduto, ma il collezionismo è diffuso anche da noi e anche nei Musei italiani (soprattutto nel Nord-Est, coinvolto direttamente nel conflitto) sono esposti questi manufatti. Lo scopo è la conservazione della memoria di avvenimenti e persone coinvolte in un conflitto le cui conseguenze hanno segnato il nostro passato recente.

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