Pierluigi Meroni il comandante che restò sulla collina (di Superga). In un bel libro la storia di un pilota e di un equipaggio caduti nell’oblio

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di Massimo Iaretti

Il 4 maggio del 1949 l’aereo FIAT G.212 che riporta in Patria il Torino si schianta sul colle di Superga. L’urto è terribile e nessuno verrà risparmiato dalla Grande Mietitrice, né i giocatori, né i dirigenti, i tecnici e gli accompagnatori, né i componenti dell’equipaggio. Ai comandi dell’aereo c’è Pierluigi Meroni, ufficiale pilota con alle spalle moltissime ore di volo, pluridecorato di guerra e istruttore di volo cieco nell’Aeronautica Militare, secondo pilota è Cesare Bianciardi (per una singolare coincidenza in precedenza, in guerra, era stato superiore di Meroni), il motorista Cesare D’Incà e il radiotelegrafista Antonio Pangrazzi. Da quel dramma il Grande Torino entra nella leggenda ed è ancora oggi vivo nel ricordo collettivo. Sul comandante Meroni e sull’equipaggio, invece, è calato quasi un velo di oblio che si è ispessito nel corso degli anni. E quando di parla di Meroni per gli sportivi la mente corre a Gigi Meroni calciatore del Torino e della Nazionale, morto investito da un’auto mentre attraversava la strada. A squarciare questo velo di oblio arriva un bel libro di Luigi Troiani, ‘Il comandante restò sulla collina’, edito per i tipi di Morrone Editore. In quasi 270 pagine l’autore ricostruisce, sotto forma di romanzo (anche se in realtà di romanzato c’è ben poco) la vita e la carriera di Pierluigi Meroni e della sua famiglia, in particolare nei ricordi di Giancarlo, il primogenito, che quando perse il padre aveva sette anni e due fratelli più piccoli. Non si aspetti il lettore di trovare un libro tutto incentrato su quanto accadde a Superga. Certamente l’autore, che è amico da sempre di Giancarlo Meroni, ne parla nell’ultima parte facendo anche alcune considerazioni sull’aereo che ‘rimase sulla collina’ (dei 12 esemplari costruiti ne risultano caduti almeno 6), viene descritto il rito funebre alla presenza della moglie e dei figli, ma il racconto si sviluppa attraverso la storia della famiglia Meroni avendo sullo sfondo l’affresco di un’Italia che non c’è più, quella dell’anteguerra, della guerra e del dopo guerra, che nel corso dei decenni ha letteralmente ‘cambiato pelle’. E’ un libro dove di storia e di umanità ce ne sono tante,  che rimette al giusto posto nella storia figure come quella di Meroni e del suo equipaggio che tanto diedero in guerra ed in pace. ‘Un avvincente e convincente romanzo-verità’ l’ha descritto il critico letterario ed ex presidente Rai  Walter Pedullà.

Luigi Troiani, l’autore, è docente di relazioni internazionali, conferenziere, opinionista (America Oggi, La Voce di New York), poeta e, amico da sempre di Giancarlo Meroni.

Il testo è stato presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino 2023 (NELLA FOTO LUIGI TROIANI, A SINISTRA, E L’EDITORE CARLO MORRONE AL SALONE DEL LIBRO).

Mi permetto in coda a questa breve nota su ‘Il comandante restò sulla collina’. Come viene ricordato nel testo, la famiglia Meroni abitava a Milano in via Carpi. Qui abitava anche un’altra famiglia, i Gindari. Dopo la tragedia di Superga, Francesco Gindari acquistò dalla signora Meroni la lambretta del Comandante. Il caso della vita vuole che la figlia di Francesco, Marisa, sposò Marco Iaretti nel 1972, rimasto vedovo di Lucia nel 1969, con due figli, che Marisa crebbe come suoi e che la considerarono sempre una seconda Mamma senza se e senza ma. E ai figli raccontò, senza aggiungere molto d’altro di quella lambretta. Uno dei figli scrisse un articolo tre anni fa su iltorinese.it  ‘Superga, il comandante Meroni e quella Lambretta in via Carpi’ dicendo che gli sarebbe piaciuti incontrare, parlare con i figli o i nipoti del comandante. Ed è rimasto letteramente di stucco quando ha ricevuto una mail del professor Troiani in cui ha appreso del libro e del contatto. E’ proprio vero che la vita è una sorpresa continua.

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