di Patrizia Monzeglio
Una pallina rimbalza sugli scalini per essere poi raccolta al fondo della scala da un cane, sono i
rimbalzi di una verità che per tutto il film viene messa in discussione da nuove rivelazioni e
interpretazioni durante l’indagine processuale che deve decidere della causa di morte di Samuel:
accidentale, suicidio o omicidio.
La parola ‘anatomia’, che dà titolo al film, restituisce pienamente sia l’analisi minuziosa dei fatti, sia
la fredda determinazione con cui vengono raccolte prove e testimonianze. Non è tanto la caduta
dal tetto il fulcro intorno al quale ruota la storia, quanto il rapporto della coppia Samuel-Sandra,
come ha dichiarato la regista Justine Triet «La discesa fisica ed emotiva di un corpo diventa il
simbolo del declino della storia d’amore».
I protagonisti sono due scrittori, esponenti di un mondo che vive fra realtà e finzione. Frustrato e
fragile lui, che scarica sulla moglie il proprio insuccesso, determinata e famosa lei che agisce con
distacco e una certa ambiguità. Al centro del nucleo famigliare e della trama del film il figlio
adolescente Daniel, ipovedente dopo un incidente di cui il padre è in parte responsabile. Lo
spettatore ricostruisce pezzo per pezzo la storia attraverso le testimonianze raccolte dall’accusa e
le interpretazioni contrapposte dalla difesa. Primissimi piani saturano lo schermo mentre fiumi di
parole riempiono lo spazio sonoro. Le scene sono riprodotte con grande realismo: lunghi dialoghi,
pause e silenzi rispettano i tempi della vita reale, ritmi ben diversi da quelli a cui ci ha abituato un
certo tipo di montaggio.
La difficoltà a spiegare le proprie esperienze ed emozioni attraverso le parole viene messa in
evidenza dal ricorso ad una lingua straniera, l’inglese, che i due coniugi, tedesca lei e francese lui,
utilizzano come terreno neutro per la loro vita famigliare, ed è l’inglese la lingua a cui poi ricorre
Sandra in aula quando troppo difficile diventa il raccontarsi ad altri. Le difficoltà che comporta una
lingua che non è la propria viene sperimentata anche dallo spettatore dato che, in certi frangenti, la
regia utilizza il sonoro in lingua inglese con sottotitoli.
Un film quindi non banale, un thriller psicologico che coinvolge e sorprende perché non si sa mai a
cosa porterà il rimbalzo successivo della pallina, quando un nuovo elemento interverrà per
capovolgere l’ultima spiegazione che sembrava essere la verità, quando si cerca di capire se la
protagonista mente o è sincera e che ruolo gioca il figlio in tutta questa vicenda.
Eccellenti le interpretazioni degli attori che la regista francese fa recitare con grande sobrietà,
indugiando sui volti, su piccoli movimenti del corpo, sugli sguardi.
Forse non tutti apprezzeranno un film impegnativo della durata di due ore e mezza, ma il successo
che sta riscontrando in sala conferma che i riconoscimenti finora ottenuti (Palma d’oro a Cannes,
Golden Globe, candidatura all’ Oscar) sono ben meritati.
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