di Patrizia Monzeglio
Che Greta Gerwig potesse fare un film piacevole e intelligente anche con un soggetto come
“Barbie” era prevedibile. Che Margot Robbie fosse l’attrice perfetta per interpretarlo era scontato.
Eppure entrambe hanno dato a questo film un tocco in più rispetto a quanto ci aspettavamo.
Leggiamo sui social, accanto ai commenti positivi di chi ha apprezzato la pellicola, quelli di
spettatori che dichiarano di essere delusi e quelli di chi ha portato al cinema bambini e bambine
usciti poi visibilmente annoiati.
È possibile, “Barbie” non è un film per bambini e non è solo un passatempo farcito di gag per palati
abituati alle cose semplici. Pur nella sua apparente dimensione di gioco, è un film tanto
apprezzabile quanto più si riescono a cogliere i sottintesi, le ironie, le citazioni. La scena iniziale,
che rimanda all’alba dell’Uomo in “2001: Odissea nello spazio”, è lo spunto per quello che
potrebbe essere un nuovo tempo per le donne, ma stiamo parlando di un film di Kubrick del 1968 e
forse non tutti coglieranno il collegamento. Peraltro non mancano talvolta prese di posizione troppo
esplicite e ripetute, come quelle contro il patriarcato, alla lunga fastidiose, un po’ come quando ti
dicono per tre volte la stessa cosa e ti viene da rispondere “va bene, ho capito”.
Parlando invece degli aspetti positivi, la ricostruzione di Barbiland ha dell’incredibile. Complimenti
a chi è riuscito con grande fantasia e ironia nell’intento di ricreare un mondo vivo sottolineando la
rigida plasticità del giocattolo: onde in cui non si può nuotare, latte che non esce dalla confezione,
piedi che rimangono dritti sulla punta anche quando si tolgono le scarpe con i tacchi a spillo. Tutto
è rosa, tutto è piacevole, un mondo di sorrisi ed amore, un mondo perfetto insomma.
L’imperfezione arriva quando il reale si inserisce nella finzione e parte una narrazione che mette in
risalto le nostre debolezze di essere umani, esseri che provano sentimenti, paure, che si sentono
inadeguati di fronte alle aspettative degli altri, che cercano di compiacere il prossimo spinti dal
desiderio di essere amati.
Lo scambio di ruoli fra il femminile e il maschile non è semplicemente una rivendicazione
femminista, come qualcuno ha criticamente sottolineato, ma un modo per far riflettere su cosa si
prova a vivere in posizioni subalterne, in una società avida di potere e strutturata in base a
categorizzazioni. Vale per tutti, uomini e donne, bianchi e neri, per chi sta di qua e chi sta di là di
un’immaginaria linea di differenziazione. Ma tutto questo traspare con leggerezza, in un film che
vuol divertire, che fa ridere e sorridere, che sprizza ironia e non disdegna la comicità dell’assurdo
quando attacca gli stereotipi e l’ottusa avidità del capitalismo aziendale, a partire dalla stessa
Mattel.
Avevamo apprezzato, di Greta Gerwin, il film “Piccole donne” che la regista aveva realizzato
utilizzando una chiave moderna nel rappresentare il mondo femminile di fine ottocento e le sue
aspirazioni. Ritroviamo in “Barbie” la capacità di offrire allo spettatore un angolo visuale particolare.
Ma se il film ci insegna a diffidare dei messaggi che inneggiano alla perfezione, alla bellezza figlia
di una finzione lontana dalla realtà, la presenza costante di Margot Robbie e i primi piani del suo
viso fanno nascere in noi il dubbio che anche nel nostro imperfetto mondo qualche eccezione
esista.
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