Autonomia e Libertà di Roberto Castelli parte in Piemonte – Nostra intervista all’ex ministro

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di Massimo Iaretti

Anche in Piemonte prende piede Autonomia e Libertà, l’associazione fondata, da Roberto Castelli, leghista della prima ora, già ministro della Giustizia e vice ministro delle Infrastrutture e dei traporti, rispettivamente nei governi Berlusconi II e III e Berlusconi IV.

Recentemente Castelli, che di Autonomia e Libertà è il presidente, ha partecipato ad un incontro a Leinì, coordinato da Stefano Fascio, autonomista piemontese e referente canavesano dell’Associazione.

Nell’occasione ha rilasciato a canavesanoedintorni.it questa intervista, nella quale si è parlato non soltanto dell’Associazione che presiede ma anche di temi sempre caldi nel mondo politico, come quello dell’autonomia e dell’amministrazione della giustizia.

Innanzitutto presidente Castelli che cosa è Autonomia e Libertà?

Un’associazione culturale nata 2 anni fa tra amici, che si è concretizzata nel giugno del 2021 per tenere viva la fiammella dell’autonomia e del federalismo che è stata portata avanti per 30 anni grazie all’azione della Lega ed oggi sembra caduta nel dimenticatoio nonostante il grande successo dei referendum per l’autonomia in Lombardia ed in Veneto del 2017.

Ma è un’associazione culturale o un progetto politico a lungo termine?

Un’associazione culturale è un progetto politico. Se si fa cultura si fa politica. Qualsiasi azione di natura pubblica ha anche una valenza politica.

In questo caso come vi rapportate con gli appuntamenti elettorali?

Nell’ultima tornata elettorale abbiamo avuto alcuni nostri rappresentanti in qualche lista. Vedremo adesso l’evolversi della situazione in Lombardia per le regionali.

L’associazione è interna o esterna alla Lega?

E’ esterna ma non in contrapposizione. Il comitato fondatore e la maggioranza dei soci sono iscritti alla Lega ma ci sono anche di altre provenienze. Siamo indipendenti ma, lo ribadisco, non siamo in contrapposizione alla Lega.

L’associazione dove ha la sua sede e le sue articolazioni sul territorio?

La sede è a Cisano Bergamasco a pochi passi dal prato di Pontida. Siamo presenti in Lombardia ma si sono formati nuclei interessanti in Emilia, in Piemonte, nelle Marche e si sta proseguendo anche in Friuli..

Qual è il vostro rapporto, in questa fase, con le istituzioni territoriali e governative?

Stiamo svolgendo  un’azione di monitoraggio e di stimolo nei confronti di chi sta nelle istituzioni affinché venga affrontato il tema dell’autonomia, ci sono incontri pubblici sull’argomento  con esperti di primo piano e prese di posizione sugli organi di informazione.

E quanto alla proposta del ministro Calderoli sull’autonomia?

E’ una posizione di osservazione critica. La tendenza che esiste quando si è al Governo è quella di portare a casa un risultato comunque. Ci rendiamo perfettamente conto che se l’auspicio è un risultato del 100% non si potrà mai arrivare perché si avrebbe l’opposizione di tutto il Sud e quando dico tutto intendo la totalità. Ma se invece si ottenesse un 50% sarebbe una buona base di partenza, se fosse un 20% no.  In questo caso sarebbe meglio più che portare a casa un risultato contraddistinto da un eccessivo ribasso che metta fine ad ogni discorso, tenere aperta la porta della discussione. Sono tre i settori che veramente costituiscono il nocciolo dell’autonomia: la sanità, già quasi tutta in caso alle regioni, l’istruzione dove c’è una chiusura netta e il gettito fiscale. Il resto è contorno.

Infine un ricordo del suo periodo alla guida del ministero della Giustizia?

Vorrei innanzitutto ricordare un particolare: in tutta la storia d’Italia, dal 1861 ad oggi c’è stato un unico ministro che è rimasto più a lungo di me alla guida del dicastero. Si chiamava Alfredo Rocco.

La giustizia si può riformare, è un nodo nelle mani della politica.

C’è poi una cosa che la caratterizza rispetto a tutti gli altri Paesi: l’assoluta e totale referenzialità di cui godono i magistrati. Sono marziani che entrano per concorso in un pianeta che non è l’Italia, unico Stato al mondo in cui si dice che ‘il giudice è soggetto alla legge’.

Occorre superare questa referenzialità ma è impresa difficile. Quando ero ministro Alleanza Nazionale ed Udc, forze di maggioranza,  ci dissero ‘toglietevi dalla testa di cambiare la Costituzione’. Da ministro ho cercato di intervenire con la riforma dell’ordinamento giudiziario, poi arrivò Prodi e cancellò tutto.

I punti essenziali avrebbero dovuto essere: il rafforzamento dell’indipendenza dei giudici ed il ridimensionamento delle strapotere delle procure, una commissione disciplinare esterna al Consiglio superiore della magistratura con un’azione disciplinare da poter essere messa in capo anche al ministro della Giustizia e l’istituzione del manager del Tribunale.

E poi c’è un punto che va segnalato: lo smaltimento del numero mostruoso si pratiche che ogni anno si abbatte sugli uffici giudiziari.

L’attuale ministro Nordio lo chiamai io al ministero e lui istituì una commissione per la depenalizzazione di alcune fattispecie di reato del codice penale.

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