L’educazione all’arte e alla libertà nell’opera di Jean Servato

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Tempo di lettura:2 Minuti, 24 Secondi

di Massimo Iaretti

di Massimo Iaretti

Conosco la famiglia di Jean Servato praticamente da sempre. La moglie Anita è stata mia insegnante di inglese al Liceo Balbo negli ormai lontani anni del Ginnasio, il figlio Paolo ed il nipote Luca sono amici da sempre. Lui l’avevo conosciuto quando aveva aperto la Galleria d’Arte Ariete a Casale Monferrato, una volta poi ci eravamo incontrati durante una gita domenicale per una sua esposizione a Gignese, dove con mia moglie e una coppia di amici eravamo andati a visitare il singolare ‘Museo degli Ombrelli’. In un recente e casuale incontro Paolo, che non vedevo da qualche tempo, mi ha dato una copia del libro ‘Educare alla libertà e all’arte – La Rivoluzione del metodo pedagogico tradizionale’ edito a cura dell’associazione culturale ‘Amici di Penultimo’ in occasione del centenario della nascita 1923 – 2023. La lettura del testo – tanto agile quanto profonda – consente di ‘affrescare’ la figura di una personalità ecclettica e assolutamente avanti nelle sua concezione dell’insegnamento rispetto al tempo in cui si era formato e ha vissuto. E la biografia posta al fondo del libro parla da sola: nativo di Rivalta Bormida, studi magistrali in Alessandria, frequentazione del Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà interrotta dal secondo conflitto mondiale, impegno nella resistenza, laurea in filosofia e pedagogia alla facoltà di Magistero a Torino. E successivamente un percorso nell’insegnamento dal 1951 con partenza da Casale Monferrato, tappe a Strambino in Canavese (nel 1953 come maestro di ruolo), nella frazione Rolasco di Casale, Madonnina di Serralunga di Crea, e poi alle medie inferiori e infine al magistrale Lanza di Casale Monferrato sino al 1984 anno del collocamento a riposo. Senza entrare nella sua vita artistica, però, colpisce la modernità innovativa del suo metodo educativo sin dagli anni Cinquanta quando la scuola era ancora ancorata a metodi se non ottocenteschi quanto meno gentiliani. Il portare all’aria aperta i suoi alunni, il volerli fare conoscere la realtà con un contatto diretto e non mediato da formule obsolete, l’educare, nel senso di ‘educere’ ovvero di trarre il meglio dal loro animo, anche attraverso espressioni artistiche come il disegno o la poesia, il trasmettere loro l’amore per la pace (cosa non scontata nel mondo bipolare di allora e di cui ce ne sarebbe tanto bisogno oggi) sono tutti principi validissimi ed attuali. Dalla lettura emerge anche quello che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni insegnante: il rapporto con gli allievi e le allieve che rimane anche al di là del periodo scolastico. L’opera, che ricorda degnamente quello che è stato Jean Servato, è un testo consigliabile a tutti coloro che operano nel mondo della scuola e non solo, in particolare perché offre spunti di riflessione e di approfondimento che vanno oltre l’intento celebrativo della sua nascita. E’, in sintesi, un libro che lascia un segno positivo in chi lo legge.

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