di Patrizia Monzeglio
Erano pochi a conoscerla prima che Netflix lanciasse la fiction “La legge di Lidia Poët”, diventata a
febbraio la terza serie più vista al mondo. Di questo personaggio, realmente vissuto, sapevano
qualcosa alcuni abitanti della Val Germanasca, in cui era cresciuta, e qualche distratto torinese
che si era trovato a passare per i giardini del Palazzo di Giustizia di Torino dove una targa recita
“Prima avvocata in Italia iscritta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino nel 1883”.
La serie tv si è rivelata un furbo prodotto commerciale che strizza gli occhi alle generazioni più
giovani dotando la giovane avvocata di un linguaggio e un atteggiamento poco realistico sul piano
storico e biografico ma capace di catturare l’attenzione di chi vuole solo divertirsi. Forse per questo
ha avuto tanto successo.
Per conoscere invece chi fu Lidia Poët, quella vera, ecco allora venirci in aiuto il bel libro di
Cristina Ricci “Lidia Poët” edito da Graphot (176 pagine, 15 euro). Il breve saggio ricostruisce
“vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile”, pescando a
piene mani dagli atti dei processi, dai commenti dei giornali dell’epoca, dai testi dei suoi discorsi e
dai suoi scritti. È attraverso le sue battaglie che riscopriamo un mondo di ieri a noi poco noto, dove
alle donne non era concesso il diritto ad esercitare l’avvocatura perchè “oggi sarebbe disdicevole e
brutto vedere le donne discendere nella forense palestra(…)”, motivazioni che portarono alla
revoca della sua iscrizione all’Albo.
Nella sua lunga vita Lidia Poët ricoprì ruoli di rilievo battendosi per i diritti dei detenuti, delle donne
e dei bambini. Solo nel 1919 la legge Sacchi autorizzò le donne ad entrare nei pubblici uffici e
anche Lidia Poët potè essere finalmente iscritta all’Ordine degli avvocati. Mori all’età di 93 anni, nel
- Cristina Ricci, con il suo libro, rende merito alla sua intensa vita e ci restituisce l’immagine,quella vera, di una donna piemontese di grande talento.
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