di Patrizia Monzeglio
“TRANSATLANTIC”: UNA SERIE TV PER UN FATTO VERO E POCO NOTO
Capita a tutti di mettersi davanti alla tv senza aver le idee chiare su cosa guardare e alla fine
ritrovarsi a scegliere una serie attratti dal titolo, così è capitato a noi. Dopo aver girovagato fra le
tante offerte di Netflix ci siamo imbattuti in “Transatlantic” e abbiamo iniziato la prima puntata con
l’idea di guardare una storia simile a “Titanic”, a volte il titolo inganna.
Fin dalle prime scene ci siamo resi conto che non era quello che ci aspettavamo, parlava di ebrei
in fuga accampati sulle spiagge francesi durante la Repubblica di Vichy. La cosa strana era il non
riuscire a collocare quella storia in un genere ben preciso: il contenuto era drammatico ma il tono
con cui veniva raccontato era leggero, talvolta con toni da commedia brillante che si alternavano a
scene toccanti, un mix che ci lasciava perplessi. Quando a un certo punto abbiamo scoperto che
uno degli ebrei in fuga era il filosofo Walter Benjamin, la storia ci ha incuriosito e andando avanti ci
siamo resi conto che tanti erano i personaggi storici coinvolti nella vicenda: i pittori Max Ernst e
Marc Chagall, il poeta André Breton, la mecenate Peggy Guggenheim, la filosofa Hannah Arendt.
Così cercando notizie sul web siamo venuti a sapere che la miniserie si ispira a fatti realmente
accaduti a Marsiglia nel 1940. In quel periodo il giovane americano Varian Fry organizzò la fuga di
artisti e intellettuali ebrei entrati a far parte delle liste di “indesiderati” e insieme alla ricca Mary
Jayne Gold salvò, attraverso l’Associazione ERC (Emergency Rescue Committee), più di duemila
persone destinate alla deportazione.
Le polemiche su “Transatlantic” non sono mancate, proprio per quel tono di leggerezza scelto dai
creatori della serie che si sono difesi dalle accuse di distorcere la storia dicendo che la loro “è una
drammatizzazione e non un documentario” e che il loro intento era di far conoscere l’eroismo dei
protagonisti ad un pubblico vasto.
In effetti così è stato, per quanto ci riguarda “Transatlantic” ci ha permesso di conoscere una
pagina di storia a noi non nota, compreso il fatto che uno dei protagonisti, l’ebreo Albert Hirschman
che contribuì a far fuggire molti rifugiati, era il fratello di Ursula Hirschman, conosciuta in Italia per
aver sposato Altiero Spinelli e per il suo impegno nel dopoguerra alla fondazione del Movimento
Federalista Europeo.
Quanto alla forma, anche noi riteniamo il prodotto troppo patinato per il contenuto trattato, un
tentativo di coniugare “glamour” e tragedia non pienamente riuscito, questo non toglie che la serie
sia comunque interessante. Consigliamo di dare un’occhiata anche al backstage che Netflix
propone alla fine del settimo e ultimo episodio: i commenti di registi, sceneggiatori e attori aiutano
a comprendere gli intenti e lo spirito di chi ha lavorato al progetto.
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