Cultura, ‘Marcia su Roma e dintorni’ in sette libri

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di Guido Michelone

Siamo entrati nel centenario della Marcia su Roma – 28/30 ottobre 1922 – che segna la nascita del governo fascista trasformatosi poi in dittatura per circa un ventennio e spazzato via dalla forze angloamericane alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Per capire un fenomeno di così vaste proporzione gli editori e le librerie italiane si sono da tempo
attrezzate, ma anziché segnalare i soliti testi – come la monumentale opera di Renzo De Felice scritta tra gli anni Sessanta e Ottanta e di recente ristampata – è meglio concentrarsi su sette nuovi libri, tra loro molto diversi, che inquadrano i vari aspetti di un periodo storico ancor oggi determinante per i destini dell’Italia, dell’Europa, del Mondo.

Si può iniziare a leggere il più semplice, un volume che andrebbe adottato a scuola per l’afflato morale che lo ispira: Mussolini il capobanda (Mondadori) del giornalista di Aldo Cazzullo racconta, senza mezzi termini, in maniera lineare, appassionata, persino godibile (letterariamente parlando) i motivi per cui gli italiani dovrebbero rigettare in toto il fascismo mussoliniano.

Entrando invece sul terreno delle analisi storiche, due saggi dell’editore Chiarelettere approfondiscono l’ascesa del fascismo prima, durante e appena dopo il 1922: da un lato Nero di Londra di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella dimostra come dalla disfatta di Caporetto alla trionfale marcia su Roma, l’intellighenzia militare inglese crea di fatto il Mussolini fascista. Dall’altro lato Benito Mussolini. Me ne frego a cura di David Bidussa presenta, chiosati,discorsi e articoli del futuro Duce tra il 1904 e il 1927 nel passaggio cruciale dal socialismo all’interventismo, dal nazionalismo al fascismo vero e proprio, esaminando un linguaggio verbale che purtroppo ancora oggi segna molti politici.

A questo punto si può allargare il discorso coinvolgendo un libricino, Sul nazionalismo, del grande romanziere George Orwell (1984 e La fattoria degli animali), giacché, nel 1945, guerra finita, egli spiega la tendenza “a identificare se stessi in una singola nazione o in un’unità di altro tipo, collocandola aldilà del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che la promozione dei suoi interessi”.

Il nazionalismo estremista di un Adolf Hitler ha riflessi parossistici se si pensoa a un libro come La propaganda nell’abisso (Lindau) di Giovanni Mari, il quale studia gli otto numeri del giornale «Der Panzerbär» gestito da Joseph Goebbels nel bunker nazista dal 22 al 29 aprile 1945, con i russi alla periferia di Berlino! conquistata il 9 maggio seguente.

Per concludere anche la lettura di un testo apparentemente innocuo quale Ricette di guerra (Fefè Editore) di Amalia De Sanctis, che raccoglie gli appunti della nonna a guisa di ipotetico manuale di cucina in tempo di guerra, di restrizioni e di autarchia, lascia intuire le difficoltà a procurarsi i generi alimentari di prima necessità da parte delle persone coinvolte loro malgrado in un conflitto sanguinoso. Anche solo con la lettura di uno di questi sei titoli è possibile riflettere su quel bene prezioso chiamato democrazia, che nessun fascismo, a cent’anni dalla Marcia su Roma, potrà mai garantire o preservare.

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