Sanremo 2023, vince Marco Mengoni. Considerazioni sul festival nazional-popolare

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di Guido Michelone
È finito Sanremo ha vinto Marco Mengoni con il brano Due vite e chissà se scalerà in fretta la classifica dei dischi o avrà quale concorrente altre canzoni meno votate da pubblico e critica. Sanremo è Sanremo dice uno slogan ormai proverbiale da decenni, quasi ad affermare uno spettacolo immutabile, un rituale che sul piccolo schermo (ma anche in radio e con i social) torna ogni anno uguale a se stesso, con personaggi che dovrebbero in teoria aggiornare la situazione della musica leggera italiana, ma che in realtà fotografano l’esistenza o il déjà vu (già visto) passato dai talent show, su YouTube o per strada,
come accadeva anni fa ai giovanissimi Maneskin, i quali, per farsi conoscere, prima di approdare e vincere uno dei tanti concorsi televisivi, suonavano appunto per le vie del centro di Roma, onde cercare di ottenere quel “quarto d’ora di notorietà” di cui parlava il pittore Andy Warhol già mezzo secolo fa. Certo, Sanremo ispira citazioni illustri a partire dalla definizione di spettacolo “nazional-popolare” usato da Pippo Baudo, forse senza ricordarsi che tale espressione venne coniata dal filosofo comunista Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere con ben altre intenzioni. Ma per capire bene i nostri tempi, dal terremoto in Turchia alla guerra tra Russia e Ucraina, dai progressi della scienza ai cambiamenti del clima
terrestre, più che rincorrere i media o sottostare alla loro logica, cercare un’alternativa, ossiaì un’informazione corretta, una visione pluralista, un’apertura mentale che deve necessariamente confrontarsi con la lettura di libri. Il libro oggi, assieme al giornale, è forse l’unica sicurezza contro la superficialità planetaria: e allora per saperne di più su Sanremo – o meglio per conoscere ciò che gli sta attorno, dal punto di vista della “società dello spettacolo” teorizzata dal pensatore situazionista Guy
Debord – ecco due testi di una nuova collana editoriale, la Diarkos su Sant’Arcangelo di Romagna, intenta ad approfondire la sfaccettata realtà della musica odierna: da un lato i Maneskin, dall’altro Lucio Battisti, ossia il passato e il presente del pop tricolore. Maneskin italian rock 2.0 è quasi un instant Book dove la giovane studiosa Patrizia De Rossi ricostruisce la strepitosa ascesa del quartetto di Victoria, Damiano, Thomas, Ethan, dove il filo rosso che lega i notevoli traguardi raggiunti sul piano commerciale (e in parte artistico) hanno soprattutto a che fare con la volontà e il desiderio della band a imporsi
come rock star all’americana, diversamente da stelle nostrane come Vasco o Ligabue. Al contrario il docente universitario Gianfranco Salvatore in L’arcobaleno spiega come l’exploit del cantante/chitarrista Lucio Battisti alla fine degli anni Sessanta e per oltre un decennio sia dovuto al sodalizio con il paroliere Mogol (Giulio Rapetti): assieme, i due hanno elaborato una forma-canzone che tuttora resiste nel tempo e che, salvo una rara iniziale occasione, non abbisogna della vetrina sanremese per mostrarsi in tutta la sua grandezza.

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