di Patrizia Monzeglio
Freud, Picasso, Einstein, tre figure che hanno contribuito a demolire le granitiche certezze sulle
quali poggiava il mondo ottocentesco: la loro ricerca ha aperto le porte a realtà che stanno oltre la
coscienza, la forma, la fisica newtoniana. Sulla base delle loro idee, dall’intuizione che vi fosse
qualcosa al di là del visibile, nasce il ‘900 così come l’abbiamo conosciuto e il film “Oppenheimer”di
Nolan ci racconta, di quel secolo, il momento in cui il mondo smise di essere quello di sempre, il
momento in cui l’uomo si appropriò di energie nuove, talmente potenti da poter portare ad una
catastrofe senza precedenti e senza ritorno.
“Oppenheimer” è un film impegnato e impegnativo, con tutti gli elementi per lasciare un segno
nello spettatore, per far parlare di sé. Non è un banale “biopic” ma un punto di vista sulla scienza e
sui suoi intrecci con la politica. Christopher Nolan, in un’intervista al Corriere della Sera, dichiara:
«Ritengo attualissime le domande che Oppenheimer si poneva sulle potenzialità della scienza e
sui pericoli per l’umanità. Per me ė importantissimo che il film generi discussioni sui conflitti che
genera la politicizzazione della scienza». I parallelismi con il presente sono tanti.
Il regista ha scelto di raccontare una storia scegliendo un punto di vista soggettivo, guardando gli
eventi attraverso gli occhi del protagonista. Se si tiene conto di questo presupposto certe critiche al
film, pur nella loro correttezza, assumono minor peso, ci riferiamo in particolare al ruolo marginale
delle donne, al disinteresse verso le tribù che abitavano il territorio del New Messico, al non aver
sottolineato il contributo dato da Fermi al progetto.
Il film non si chiama “Progetto Manhattan” ma “Oppenheimer”, un titolo indicativo della volontà di
portare sullo schermo non il racconto di un evento storico ma quello di un uomo di fronte alla
storia, del conflitto fra la figura dello scienziato, spinto dal desiderio di svelare i segreti della natura,
e quella dell’individuo di fronte al dilemma etico che nasce dalle sue scoperte. “Oppenheimer” ė un
film intenso per il veloce montaggio, l’uso del sonoro che accompagna le immagini, i temi trattati, i
tanti personaggi che si intrecciano nella storia, l’alternarsi di piani temporali diversi, anche se l’uso
del bianco e nero che accompagna le sequenze ambientate nel periodo postbellico aiuta a seguire
senza troppi problemi la duplice narrazione.
La robusta sceneggiatura, opera dello stesso Nolan, viene valorizzata dall’interpretazione degli
attori che compongono il cast, tutti all’altezza del loro ruolo. Le immagini non rispondono solo ad
un gusto estetico ma sono costruite per stimolare emozioni, così come il silenzio che
improvvisamente accompagna lo scoppio della bomba, un silenzio che vale più di qualsiasi sonoro,
un silenzio già sperimentato da Nolan nella suggestiva sequenza di apertura del film “Dunkirk”.
“Oppenheimer” è un film che va visto con una certa consapevolezza, tenendo conto della durata
(tre ore) e del susseguirsi veloce di scene che non descrivono ma suggeriscono e accennano.
Qualche nozione su cos’è stato il “Progetto Manhattan” e su alcuni personaggi storici (Fermi, Borh,
Heisenberg, Teller) aiuta a meglio comprendere il ruolo di Oppenheimer e a lasciarsi andare alla
pura suggestione del racconto, all’intensità dei primi piani di Cillian Murphy che riflettono il trionfo e
la caduta del protagonista, la spregiudicatezza dello scienziato e il disagio esistenziale dell’uomo.
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