Qatar 2022, un primo bilancio

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di Guido Michelone

Centinaia di migliaia, forse oltre un milione di spettatori tra Piemonte e Liguria a vedere in televisione Francia-Argentina finalissima in Qatar (piccolo stato nella penisola araba) per i Mondiali di calcio svoltisi, per circa un mese, dal novembre scorso.
Alla fine li vince l’Argentina questi mondiali, raggiungendo quota tre stelle, dietro solo a Brasile con cinque, a Italia e Germania con quattro, e davanti a Francia (l’altra finalista) con due assieme all’Uruguay, mentre al momento Spagna e Inghilterra sono ferme a una stella. Argentina Francia 3-3 (7-5 ai rigori ) viene già definita la ‘partita del secolo’, dopo quella del Novecento fra Italia e Germania (4-3 ai supplementari) alle semifinali di Messico 1970, dove poi gli Azzurriperdono il campionato 4-1 contro i Verde-oro di un certo Pelé.

Lascia comunque sempre l’amaro in bocca una finale assegnata ai calci di rigore, dopo 120 minuti di match combattutissimo, terminato in parità: e ancora non si capisce perché, oggi, da ormai mezzo secolo, la FIFA non vuol più far ripetere la finalissima; sarebbe invece una bella sfida, con lo show business che, oltre i tifosi, aumenterebbe i fatturati soprattutto televisivi. E sotto quest’ultimo aspetto è lapalissiano ricordare come i mondiali siano sempre più un fenomeno quasi esclusivamente mediatico, con il piccolo schermo, nonostante la concorrenza dei nuovi mezzi, ancora in grado di coinvolgere miliardi di spettatori nel mondo intero.

Ma, aldilà della stupenda finale Argentina-Francia 3-3 (7-5), cosa lascerà alla Storia con la S maiuscola il Qatar 2022?
Senza dubbio, sul piano tecnico, la novità dei cambi di ben sei giocatori a squadra (ancora retaggio del recente COVID) e i troppi minuti di recupero (concessi onde evitare la cosiddetta melina); a livello agonistico si vede un buon gioco in tutte le 32 partecipanti, senza squadroni invincibili e nemmeno squadrette materasso.

Si parla, poi, del grande momento del calcio africano e asiatico (e ovviamente latino-americano), ma si dimentica troppo spesso di sottolineare che oramai tutte le Nazionali hanno giocatori che militano nei tornei europei, dall’Argentina campione al Marocco sorpresa. E a proposito di Marocco vale altresì la pena rammentare l’ottimo piazzamento (quarto posto) di fronte a team assai blasonati, sempre ricordando però che i dieci/undicesimi della formazione-base comprendono atleti ingaggiati da club di serie A e B del Vecchio Continente, come pure accade all’Argentina e in genere a Selezioni sudamericane sempre
più europeizzate.

D’altronde la piccola Croazia (paese di 4 milioni di abitanti) che batte il favorito Brasile (che di milioni ne fa 215) è l’emblema di un’équipe con portieri, difensori, centrocampisti, attaccanti al lavoro in Spagna, Inghilterra, Germania, Italia, Francia, ovvero gli Stati dove i club spendono di più. E a proposito d’Italia Qatar 2022 passerà se non alla Storia, almeno alla cronaca, per la pesante mancata qualificazione: la seconda consecutiva, la quarta su ventidue mondiali, nonostante l’imprevista lodevole vittoria agli Europei 2021, battendo gli Inglesi a casa propria (lo stadio di Wembley).

L’assenza tricolore è dovuta non solo per ragioni anche fortuite, ma per una politica sportiva che, da tempo, valorizza assai poco i talenti locali e di conseguenza ha pochi campioni italiani nei campionati maggiori. Anche le altre grandi nazioni calcistiche, dai club multietnici – Real Madrid e Manchester United, Bayern Monaco e Paris Saint-Germain, eccetera – vantano però istituzioni dove, dal basso, si incentiva la promozione dei giovani, in modo da assicurare un ricambio generazionale, evitando altresì di spendere tanto all’estero, dove, come per l’industria, se si pensa all’Africa, il lavoro costa meno e ingaggiare una promessa dal Terzo Mondo è una comoda scappatoia e una triste speculazione.
Detto questo, per tornare al Marocco, i media parlano subito di exploit del calcio africano, ma, stante questa globalizzazione, sarebbe più esatto dire del calcio islamico, anche in concomitanza con i primi mondiali in un Paese dove si pregano Allah e Maometto. Ma a citare Marocco e Qatar già prima della finalissima, vengono a galla alcuni problemi a Bruxelles (UE) con rappresentanti del PD, così come da mesi l’opinione pubblica sottolinea lo sfruttamento di operai e manovali pakistani nel realizzare gli avveniristici stadi di Doha e dintorni, costati non solo tanti miliardi, ma soprattutto
seimila morti sul lavoro, secondo le stime di enti umanitari.

Sono però questioni che poco e niente sensibilizzano il mondo sportivo durante l’intero svolgimento delle 32 partite, anche perché The Show Must Go On (lo spettacolo deve continuare) e la FIFA proibisce qualsiasi accenno alla politica (vedasi, a inizio torneo, il caso Iran, la cui squadra solidarizza con le giovani di Teheran che chiedono democrazia). Ma, a un primo bilancio di Qatar 2022, occorre proprio rifarsi alle divise nere indossati dagli Italiani ai Mondiali Francia 1938 per affermare che tutto questo non è già politica?

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